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domenica 16 settembre 2012

Un futuro senza fiori.

Ci pensavo sabato scorso (non ieri, intendo proprio sabato scorso, 8 giorni or sono).
Ci pensavo mentre tagliavo l'erba in giardino, attività che, devo ammetterlo, mi piace parecchio. Quando riesco ad essere a casa di sabato mi prendo il buon vecchio tosaerba e inizio a disegnare traiettorie il più possibile precise nel prato, con un'attenzione ed una perizia che sarebbe bello riuscissi a trasferire anche agli altri ambiti della vita che mi vedono impegnato. Solitamente riesco a fare tutto in un'ora e mezza e questi 90 minuti per me sono davvero rigeneranti. Niente rotture di scatole, niente telefonate, niente necessità di rispondere a qualsivoglia stimolo esterno, solo un lettore mp3 a farmi compagnia per evitare di stordirmi troppo con lo sbuffare del suddetto tosaerba.
Mi sento pacificato con la natura. Mi inorgoglisce vedere, poi, alla fine di tutto, l'erba finalmente ordinata e precisa, un tappeto sul quale verrebbe veramente voglia di stendersi e rilassarsi completamente.
Solita lunga digressione.
Dicevo: sabato scorso, mentre ero intento all'opra sfalciante, pensavo a quanto potesse sembrare innaturale, in un'epoca di virtualità, di on demand, di socialwebduepuntozero, eseguire un'operazione se vuoi anche banale come il taglio dell'erba.
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E pensavo, inoltre, ad un futuro senza fiori. Sì perché, a mio parere, per i motivi più diversi, ci stiamo preparando ad una civiltà senza fiori. E non mi riferisco solo alla cementificazione, all'incuria, alla mancanza di risorse economiche. Da quel poco che so i sémi non costano poi così tanto. I sèmi, invece (per capire questa devi essere veneto, mi dispiace), costano molto di più.
Quel che manca è il tempo. Maledetto tempo.
Il discorso è sempre quello. Ne abbiamo poco a disposizione e spesso lo sfruttiamo male. Parlo per me, eh.
Durante l'ultima settimana di volontariato al Sermig, è stato donato a tutti noi un seme di girasole. Ebbene, subito dopo essermi reso conto che della semina del girasole non sapevo una cippa (in realtà non so una cippa della semina di alcun tipo di fiore), il primo pensiero che ho fatto è stato: "Riuscirò a ritagliarmi il tempo per curare questo fiore come si deve? Mi ricorderò di annaffiarlo? Sarò costante nel seguirlo?".

Tutto diventa un peso se tu non riesci a dargli il peso giusto, il peso che merita.
Piantare un fiore NON dovrebbe essere un peso.
Coltivare un'amicizia NON dovrebbe essere un peso.
Pregare NON dovrebbe essere un peso.
Guardare la De Filippi o la Clerici dovrebbe essere un peso.
Corrompere o farsi corrompere dovrebbe essere un peso.
Incenerire una speranza (soprattutto se è altrui) dovrebbe essere un peso.

Io il seme di girasole non l'ho ancora piantato e credo che farà fatica ad attecchire, ora come ora. Ce l'ho qui sopra alla mensola. Lì di certo non fiorirà e non si orienterà ricercando il sole. Però spero che mi possa ispirare e che mi sia da monito (e non da monitor).

Insomma, mi hai capito. Diamoci una mossa, mettiamoci a piantare qualche fiore.
E curiamolo, come fosse la cosa più importante della nostra esistenza.
Il mio è un invito, eh, niente di più.

Ciao.




lunedì 3 settembre 2012

C'ero una volta.

Una volta io c'ero.
Una volta ascoltavo tanta musica, consumavo i cd imparando a memoria tracklist, titoli, testi di canzoni.
Adesso mi accontento di intercettare qua e là qualche singolo, spesso e volentieri canzoni di gruppi "one shot", non approfondendo la storia che c'è dietro, il percorso da cui esse arrivano.
Una volta, quando incrociavo un articolo che ritenevo interessante, mi concentravo nella lettura, facevo spazio dentro di me per accoglierne il senso, le argomentazioni.
Adesso, spesso e volentieri, mi accontento dei titoli.
Una volta sapevo come stavano, interiormente, i miei amici.
Adesso so (o posso sapere) cosa fanno. Poco altro.
Una volta ero curioso, aperto al nuovo, stimolato a renderMI migliore.
Adesso il nuovo spesso mi fa paura e mi blocca.

Una volta io c'ero.
Ora fatico ad esserci.
E non è una favola.

Che sta succedendo?